Tutti i lavoratori dipendenti ne accumulano mensilmente, molti non sanno come altri invece hanno agito consapevolmente sulla sua destinazione. Parliamo del TFR, più comunemente conosciuto come liquidazione o buonuscita, esaminiamone insieme la disciplina e che cosa ne possiamo fare.
Cos’è
TFR è l’acronimo di Trattamento di Fine Rapporto, è un istituto giuridico previsto dall’art.2120 del codice civile che consente al lavoratore subordinato di ricevere, alla cessazione del rapporto di lavoro, una somma proporzionata agli anni di servizio prestati. Quindi, per definizione il TFR non spetta ai lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, liberi professionisti, etc.), ma solo al mondo dei lavoratori dipendenti sia del settore privato che di quello pubblico con sostanziali differenze tra le due tipologie di lavoratori. Il TFR fu disciplinato per la prima volta dal nostro legislatore nel 1982 con la Legge n. 297 quando fece la sua comparsa a sostituzione dell’indennità di anzianità. Se ne tornò a parlare poi nel 2005 col decreto legislativo n. 252 attraverso il quale venne attuata una vera e propria riforma del TFR con l’intento di incentivare l’adesione alla previdenza complementare.
Come matura
Il TFR rappresenta una delle voci principali della busta paga e matura durante tutta la durata del rapporto lavorativo, sebbene sia erogato solo alla sua conclusione. Il Trattamento di Fine Rapporto si accumula annualmente ed è calcolato come una quota della retribuzione annua lorda del dipendente. Tale retribuzione comprende lo stipendio base, eventuali premi, bonus e altre indennità percepite. Ogni anno, il datore di lavoro accantona questa somma, che viene poi conservata fino alla cessazione del rapporto di lavoro. Un aspetto rilevante è il suo trattamento fiscale: non è soggetto a tassazione durante la fase di accantonamento, ma solo al momento dell’erogazione, il che lo rende vantaggioso sia per il lavoratore che per l’azienda.
Come si calcola
In primo luogo occorre determinare la retribuzione annua lorda, ossia la RAL. La quota annuale di TFR corrisponde alla RAL divisa per 13,5. Quanto così ottenuto deve essere moltiplicato per il numero totale degli anni di servizio prestati presso l’azienda. Infine viene aggiunto l’adeguamento per l’inflazione, calcolato sulla base degli indici ISTAT, con tasso fisso dell’1,5% e il 75% dell’Indice dei Prezzi al Consumo.
TFR = [RAL / 13,5 x anni in servizio ] + adeguamento inflazione
Destinazione del TFR
Scegliere dove destinare il trattamento di fine rapporto che maturerà durante il lavoro è un’azione richiesta ad ogni dipendente al momento della firma del contratto. Dal 2007, infatti, è necessario effettuare una scelta in tal senso: destinare il TFR a un fondo pensione di secondo pilastro (fondo pensione ad adesione collettiva) o del terzo pilastro (piano integrativo pensionistico ad adesione individuale), oppure mantenerlo in azienda. Questa scelta può essere esercitata in maniera esplicita, attraverso una dichiarazione, ovvero in maniera tacita attraverso il cosiddetto meccanismo del silenzio assenso. Chi è al primo impiego nel settore privato ha sei mesi di tempo dalla firma del contratto per indicare la propria preferenza. Compilando l’apposto modulo, il modello TFR2, decide di spostarlo alla previdenza complementare. Tale scelta sarà irrevocabile. Mentre, nel caso in cui decida di lasciarlo in azienda non dovrà fare nulla e potrà in qualsiasi momento tornare indietro sui suoi passi. Chi cambia lavoro, invece, mantiene la scelta effettuata nel precedente contratto, a meno che non ne esprima una diversa entro sei mesi. Cosa conviene di più? Non esiste una risposta universale: la scelta va fatta in base alle proprie esigenze, all’età, al livello di reddito e agli obiettivi di lungo termine. Lasciare il TFR in azienda è senz’altro la strada più immediata: non comporta costi aggiuntivi e non richiede azioni da parte del dipendente. Il TFR viene liquidato al termine del rapporto di lavoro, ma può essere ricevuto parzialmente, attraverso un anticipo legato alla necessità di sostenere spese sanitarie di carattere straordinario, spese di acquisto della prima casa, o spese da sostenere durante i congedi per maternità, o per formazione. L’anticipo (al massimo del 70%) può essere richiesto solo una volta nel corso del rapporto di lavoro, e trascorsi almeno 8 anni di servizio. Optare, invece, per la previdenza complementare consente di investire attivamente il proprio TFR, con la possibilità di integrare la somma con il proprio budget welfare. Anche aderendo alla previdenza complementare è possibile accedere al capitale maturato prima della pensione, richiedendo le somme nella seguente misura:
- fino al 75% per le spese mediche, in ogni momento;
- fino al 75% per acquisto o ristrutturazione della prima casa, dopo 8 anni;
- fino al 30% senza nessun particolare motivo, dopo 8 anni.
Come abbiamo visto pocanzi, il TFR in azienda ha una rivalutazione fissa dell’1,5% annuo più il 75% dell’inflazione, mentre in un fondo pensione il rendimento dipende dai mercati finanziari e dal tipo di fondo scelto. In genere, maggiore è la permanenza nel fondo, più alte sono le probabilità di ottenere un rendimento superiore rispetto alla rivalutazione aziendale.
Come viene tassato
Anche in questo caso bisogna distinguere se stiamo parlando del TFR lasciato in azienda ovvero versato al Fondo Pensione. In linea generale la tassazione è minore nel caso dei fondi pensione, questo perché a partire già con la Riforma del 2005, quando a 10 anni dall’entrata in vigore del sistema di calcolo contributivo si iniziava a intravedere un futuro poco roseo per le nuove generazioni in pensione, lo Stato ha tentato di incentivare l’adesione alla previdenza complementare. Il TFR lasciato in azienda al momento dell’erogazione subisce una tassazione cosiddetta separata. Quando questo viene liquidato, viene tassato in base all’aliquota media IRPEF degli ultimi 5 anni. Quindi, in base al reddito dichiarato dal lavoratore, l’aliquota può andare da un minimo del 23% a un massimo del 43%.
Il TFR erogato dal fondo pensione, invece, subisce una tassazione agevolata. Nei primi 15 anni di permanenza, la tassazione è del 15%, che poi diminuisce dello 0.3% annuo fino a raggiungere la tassazione minima del 9% dopo 35 anni. È pertanto ovvio che maggiore sarà la permanenza al fondo pensione e minore sarà la tassazione applicazione. Lo stesso meccanismo di tassazione viene applicato anche agli anticipi erogati per motivi di eccezionale gravità come malattie, disoccupazione prolungata (dopo 12 mesi si può riscattare fino a un 50% e dopo 48 mesi anche il 100% della posizione) o per invalidità permanente/morte; mentre nel caso di anticipi per altri motivi come l'acquisto o la ristrutturazione della prima casa, o la perdita di lavoro improvvisa (sia per licenziamento che per dimissioni) la tassazione è pari al 23%. In definitiva scegliere di destinare il Tfr al fondo pensione o lasciarlo in azienda è sicuramente una scelta personale da fare sulla base delle proprie propensioni finanziarie ed aspettative per il futuro. Lasciarlo in azienda come già detto rappresenta la scelta più semplice, ma può, soprattutto in caso di momenti di bassa inflazione, avere dei rendimenti ridotti. Mentre, il TFR al fondo pensione può offrire rendimenti maggiori e una maggiore diversificazione del rischio finanziario, di contro però le somme investite potrebbero non essere accessibili fino al momento del pensionamento.